L’antico rito dei vattienti

Una terra di antica e sentita religiosità, quella di Calabria. Come dimostra anche la persistenza di manifestazioni popolari che, nei piccoli borghi come nelle città, festeggiano i santi patroni o scandiscono i giorni della settimana santa. Tra i riti più suggestivi certo è d’obbligo segnalare quello dei Vattienti, che a Nocera terinese accompagna la processione del sabato santo. Mentre i fedeli, al suono lento e greve di marce funebri, seguono per le vie del paese il gruppo ligneo della madonna Addolorata, alcuni uomini si preparano per celebrare il rito, secondo alcuni riconducibile ai flagellanti dell’età medievale, secondo altri al mondo classico.

Due sono le figure di questa sacra rappresentazione popolare, l’Ecce Homo e il Vattiente, scalzi e legati uno all’altro da una cordicella di circa due metri e mezzo. Il primo cinge i fianchi con un panno e regge una croce di listelli di legno avvolti in bende rosse, simbolo del sangue e del martirio; l’altro indossa una maglia nera con un corto pantaloncino dello stesso colore e reca in capo una corona di spine acuminante. Terminata la vestizione, i Vattienti strofinano e battono con la “rosa”, un disco di sughero bagnato in un tiepido infuso di rosmarino, i polpacci e le cosce per far affiorare il sangue nei capillari epidermici. Poi usano il “cardo”, un altro disco di sughero sul quale sono state fissate 13 punte di vetro, per colpire i punti arrossati. Rivoli di sangue scorrono lungo le gambe, mentre sulle ferite viene versato del vino rosso, per disinfettare e impedire la rapida coagulazione. Dopo aver “segnato” con i sangue la porta della propria casa e quella di amici e parenti in segno di buon augurio, ogni Vattiente si avvia all’incontro con la Madonna Addolorata. Sarà proprio in questo momento culminante del rito che la flagellazione assumerà toni ancor più concitati e drammatici.